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Blog – Bimba morta per la challenge: l’esame di coscienza è richiesto a tutti, non solo a TikTok

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La terribile vicenda della bimba di dieci anni che muore a Palermo per colpa dell’assurda sfida challange blackout che si stava diffondendo attraverso TikTok, fa sì che il Garante per la protezione dei dati personali disponga nei confronti della app cinese il blocco immediato dell’uso dei dati di quegli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica.

Mentre sto ultimando la stesura di un libro sull’argomento, e vengo sollecitato da molti, mi permetto qualche riflessione “non organica” in merito.

In primo luogo bisogna dire che la bambina – sulla piattaforma cinese contro il codice di autoregolamentazione che vieta l’accesso a chi non ha almeno 13 anni – è morta per la “sfida” e non per TikTok.
Il film Nerve, del 2016, racconta di adolescenti che muoiono per colpa delle challenge, e allora TikTok non era ancora nato. Nel 2017 si sono contati a centinaia i ragazzi morti per la blu whale, della quale ancora non si sa nulla di preciso: peccato che a novembre scorso un bimbo napoletano di una famiglia normalissima sia morto “suicida” da un balcone: con ogni probabilità è stato proprio vittima della challange denominata “Jonathan Galindo” che prevede ad un certo punto “sfide” come camminare sul cornicione di una casa, la ringhiera di un balcone, o i binari della metropolitana. In tutti questi casi TikTok non c’entra: c’entrano Google, YouTube, Skype eccetera eccetera.

Perché allora si parla di TikTok? Perché quasi tutti i giovani hanno abbandonato gli altri social e usano invece la piattaforma ex – musical.ly per la loro intera vita relazionale. L’età media degli utenti attivi su Facebook è di oltre i quarant’anni, con una presenza importante di persone con un’età maggiore di 46 anni, e pochissimi minorenni. L’età media degli utenti di Instagram è attorno ai 25 anni: si dice sia il social dei giovani semplicemente perché TikTok afferma di non essere un social.

Non ho nulla da obiettare all’intervento del Garante ma è giusto far sapere che in questo momento TikTok è il social più sicuro di tutti. Le sue linee guida riguardo tantissimi argomenti (pornografia, pedofilia, alcolismo, bullismo, e tanto tanto altro) sono rigidissime. Il primo gennaio io ho visto bloccato un mio video nel quale mi lamentavo dei tordi morti a causa dei botti, perché lo sfondo del video aveva la foto, apparsa ovunque, degli uccelli morti. Altre persone hanno subito blocchi analoghi per aver mostrato la bottiglia di spumante che si stappava: era invito all’alcolismo. Questi sono fatti.

È diffusa l’affermazione per cui TikTok sia un social tutto t***e e c****i. A parte il fatto che tali parti anatomiche sono più coperte (o meno scoperte) di quanto avvenga su Facebook o Instagram, ricordiamoci sempre che, in ragione di come funziona l’algoritmo, chi fa tali affermazioni è uno che si vede arrivare nei “per te” video siffatti perché li va a cercare in tante occasioni.

Per argomentare quanto affermo, faccio una brevissima digressione sulla questione “messaggistica”, componente delicatissima, visto che la pericolosità dei social è direttamente collegata con la possibilità del contatto diretto tra il minore e l’adulto.
Su TikTok la messaggistica è infinitamente scoraggiata e quasi impossibile: devi avere minimo 16 anni, bisogna essere “amici”, altrimenti bisogna lasciare informazioni di contatto. Instagram invece ha di recente introdotto la possibilità di inviare foto e video che si autoeliminano “a tempo”, caratteristica finora riservata alle Storie di Instagram o alle chat “segrete” di Telegram. In altre parole, quando si invia una foto o un video bisogna scegliere tra l’opzione “visualizza una volta”, “consenti di riprodurre di nuovo” o “conserva nella chat”. Insomma è possibile inviare una foto a contenuto pornografico a una persona sconosciuta che può rifiutarla (ma se la rifiuta non saprà cosa le è arrivato), con la garanzia che dopo 8 secondi la foto scompare. Ciò significa che chi rimane offeso dal materiale che riceve non potrà mai avere in mano la prova di ciò che lo ha ferito: e, aggiungo nel caso si “screenshotti”, chi ha inviato viene informato dell’azione.

Nessun social ha poi, come TikTok, il controllo famigliare. Attivando quella opzione si può, per esempio, impostare il limite di tempo per il figlio, limitare i contenuti che si ritengono non adeguati al figlio, gestire le informazioni di privacy e di sicurezza del figlio, scegliere se il figlio può avere un account pubblico o privato.
Il papà della bimba morta ha dichiarato che aveva deciso di non controllarla: che cosa ne pensiamo?
Ora, io sono felice che il Garante pretenda maggior sicurezza da parte di TikTok ma ricordiamoci che l’azione non va solo in quella direzione, e comunque maggior sicurezza significa minor privacy: dove si troverà il punto di equilibrio in un momento storico in cui moltissimi si sono spostati da whatsApp per paura di violazioni della privacy?

Ripeto: è doveroso progettare treni e metropolitane in modo che sia impossibile camminare sui binari, oppure costruire i ponti in modo che nessuno possa gettare sassi su chi passa sotto, però ci deve essere anche l’impegno dei corpi intermedi: quelli che stanno tra lo Stato che fa le leggi e il singolo. Il primo corpo intermedio è certamente il nucleo familiare: ma non è l’unico. In Africa si dice che per educare un bambino ci vuole un intero villaggio. Si potrebbero costituire delle associazioni alle quali dovrebbero obbligatoriamente essere iscritti i minori e che avrebbero il compito di aiutare i genitori nello stare a fianco dei figli in un momento stimolante e difficile come quello attuale?

E, suvvia, un po’ di coerenza. A proposito di privacy, nessuno si è lamentato perché il nome e il cognome della bimba vittima della challange è subito diventato pubblico grazie ai giornali (che sono uno dei corpi intermedi che sto evocando nel mio discorso): forse dobbiamo farci l’esame di coscienza un po’ tutti

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